IL NUOVO TESTAMENTO

ll Vangelo dei nazareni

Matteo,  spesso definito l'evangelista più vicino all'ebraismo per il risalto che nel suo testo dà al carattere ebraico di Gesù e all'obbligo per i suoi seguaci di osservare la Legge. Nel II secolo, qualche decina cl'anni dopo la stesura del Vangelo di Matteo, ci fu un gruppo di giudei cristiani che pensava di essere l'interprete più fedele del suo messaggio di Gesù, poiché manteneva l'osservanza della Legge (per esempio, il sabato e le norme di purità), che considerava essenziale per la salvezza. Il che contrastava con le convinzioni di altri cristiani, i quali - facendo appello all'apostolo Paolo - rispondevano che i cristiani non osservano più la Legge (Gal z,16).  Questi giudei cristiani - a volte chiamati nazareni - non accettavano l'autorità di Paolo. Ricordate che tutto questo avveniva prima che esistesse un canone del Nuovo Testamento cui fare ricorso per risolvere le dispute. A sostegno della loro concezione giudaica, i nazareni avevano un Vangelo che rispettavano. Oggi è conosciuto con il nome di vangelo dei nazareni sebbene non ci sia giunto nella sua interezza, ne conosciamo alcuni brani attraverso le citazioni degli scrittori cristiani delle origini. Di Fatto, sembrerebbe che il vangelo dei nazareni  fosse o una traduzione di Matteo in aramaico (la lingua della Palestina che Gesù stesso parlava) o un'opera originale in aramaico molto simile a Matteo. Ma siccome i nazareni non credevano che Gesù fosse nato da una vergine (credevano che fosse il figlio naturale di Giuseppe e Maria, che Dio aveva scelto perche fosse il messia che sarebbe morto per i peccati del mondo), il loro Vangelo non conteneva quanto leggiamo in Matteo, cioè i passi che raccontano la miracolosa venuta al mondo di Gesù. I nazareni alla fine scomparvero. Ma se le loro concezioni fossero divenute largamente condivise, forse il Nuovo Testamento non conterrebbe il nostro Vangelo greco di Matteo, ma una versione più breve in aramaico!

 La Regola aurea

La forma più familiare della Regola aurea è: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». Molti pensano che Gesù sia stato il primo a proporre questo principio etico, ma in realtà fu espresso sotto varie forme dai filosofi morali dell'antichità. Nella maggioranza di queste formulazioni, il principio è espresso in forma negativa (ovvero si afferma ciò che non si deve fare), anziché positiva. La regola si incontra per esempio nella Grecia antica, molti secoli prima di Gesù. Uno dei personaggi delle Storie di Erodoto (V secolo a.c.) Meandro, afferma per esempio: «Mi asterrò dal fare io stesso ciò che rimprovero agli altri». E l'oratore greco Socrate (IV secolo a.c.) dice: <<Non fare agli altri ciò che ti riempirebbe di ira se fosse fatto a te da li altri». Il detto è presente anche nelle culture orientali, la versione più famosa è quella di Confucio (VI secolo ac.): «Non fare ad altri ciò che non vuoi che sia fatto a te >>. Più vicino nel tempo a Gesù, la Regola aurea era sostenuta (in formulazioni diverse) in parecchi scritti giudei. Forse l'espressione più nota della regola nelle cerchie giudaiche, però, la troviamo negli scritti del rabbino più venerato del tempo di Gesù, il famoso Rabbi Hillel. Un pagano avvicinò il rabbino e gli disse che si sarebbe convertito al giudaismo se Hillel fosse stato in grado cli recitare l'intera Torah stando in piedi su una gamba sola. La trasparente risposta di Hillel suona molto simile alla frase di Gesù in Mt 7,1: «Ciò che non è buono per te non lo fare al tuo prossimo. Il resto è commento. Va, e studia [la Torah] >>. Gesù, insomma, non era l'unico maestro del suo tempo che insegnava la Regola aurea e che pensava che l'essenza della Legge di Mosè potesse essere riassunta nel comandamento ad amare.

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