Una tappa che avevo sempre considerato importante è l'Indonesia. Terra magica per eccellenza, dove tutto è sapientemente regolato dalle locali divinità, ognuna delle quali presiede ad un proprio elemento, dalle divinità dell'aria a quelle del mare, della terra, e via dicendo.
Decisi di andare, più per una normale vacanza che per conoscere nuovi Illuminati, anche se mi era capitato spesso di sentire da alcuni colleghi di un grande maestro di Yoga, Sry Sudah Ari, che viveva e operava lì.
La mia prima destinazione era l'isola di Bali, in ogni tempo considerata la sede del Nirvana, delle divinità dell'Induismo. Desideravo immergermi nella realtà culturale del posto, oltre che riposarmi; in un secondo momento avrei deciso se andare in giro a cercare Templi e Santoni. Partii nel mese di Novembre dell'87.
Dopo qualche giorno che mi trovavo in quel paradiso, volli fare una delle classiche gite di chi si avventura nell'isola di Bali, cioè l'escursione al tempio del Tanah Lot, ognora sempre ammirato per la sua incantevole posizione geografica, ma molto di più per la possibilità, fortuna permettendo, di incontrare un Guru.
Già nei giorni passati, lì, avevo percepito il rispetto e la devozione degli abitanti del luogo verso il loro Phanteon religioso; infatti, sempre e in ogni luogo si trovano delle offerte per gli spiriti dell'aria o della terra. In genere si tratta di piattini fatti con delle foglie di palme, ricolmi di petali di ogni colore e di piccoli omaggi alimentari per le divinità; sono bellissimi da vedere ed esprimono tutto il folclore della cultura orientale. Un'usanza assai praticata è quella di accendere, prima di iniziare il lavoro o ogni cosa importante, delle stecchette di incensi, che, se messi a bruciare in basso, servono per allontanare i cattivi spiriti, se nell'aria, per attirare la fortuna e onorare il loro Dio. In ogni luogo si trovano queste manifestazioni di amore per Dio, dai negozi ai grandi alberghi; in questi ultimi si può persino ascoltare la lirica degli strumenti musicali dell'oriente, suonata dai sacerdoti, per scandire le ore della preghiera.
Il loro Dio dimora in tutte le case, tanto da erigergli dei piccoli templi nei propri giardini, usanza non esclusiva dei ricchi, ma adottata da tutte le classi sociali. La giornata della gita al Tempio era splendida, come è normale in quelle latitudini. Avevo preso in affitto un pulmino proprio per andare nella zona del tempio. Arrivai che erano circa le quattro del pomeriggio. Questo particolare tempio del Tanah Lot è costruito su un isolotto che ricorda il faraglione di Capri; è situato davanti ad una scogliera, dalla quale vi si accede. Un particolare che rende tutto molto romantico e incantato, è il fatto che a causa delle maree di circa cinque metri, in certe ore il tempio diviene un isolotto a cento metri dalla costa, mentre nelle basse maree si può accedervi per una stradina scavata nella pietra, che, liberata dall'acqua, restituisce all'isola la sua normale dimensione di piccolo promontorio.
Per mettere in evidenza quella rara singolarità, cercai degli angolini appropriati, per scattare delle foto da presentare nelle mie trasmissioni, che riproducessero il fenomeno e l'atmosfera magica del luogo. Mentre ero preso dalla mania dell'obiettivo, mi si avvicina un signore vestito dell'abito tipico balinese, non molto alto e, cosa che notai subito, con tre fiori di ibiscus rossi sul capo. Mi guardò con interesse durante tutti i miei scatti fotografici, sempre sorridendo beatamente. Con un pizzico di malizia tutta occidentale, pensai si trattasse di un mendicante in cerca di sostentamento. Mi si avvicinò ancor più senza che avessi il tempo neanche di pensare alla stranezza di quell'incontro e mi chiese quale era il motivo del mio interesse per il suo paese. Risposi che ero lì per riposarmi e per cercare dei materiali esoterici. Guardandomi intensamente negli occhi, disse: "Credi veramente in quei prodigi che operi per potere di Dio? Se questa è la tua fede, così è, e così sarà sempre!" Rimasi sbigottito, senza parole! Riuscii solo a rendermi conto che mi aveva dato una sorta di avallo per quel che facevo, senza capire chi gli desse quell'autorità e come sapeva cosa veramente facessi. Dopo notai anche che il dialogo si era svolto in buon italiano, non conoscendo io la lingua di Bali.
Tornato al mio albergo sulla spiaggia di Sanur, non riuscivo ancora a spiegarmi quanto era accaduto. La mattina dopo decisi di andare dal sacerdote del Tempio dell'albergo, con l'intenzione di chiedere qualche delucidazione in proposito. Dopo avere spiegato il fatto, vidi che rimase meravigliato e un pò compiaciuto di quel che gli avevo raccontato. Con fare gentile mi spiegò che i tre fiori sul capo del Guru, come lui lo definì, stavano a significare un grado gerarchico della loro religione e che era consentito di fregiarsene solo ai Guru che avevano raggiunto Dio. Aggiunse che, dalla descrizione, non poteva essere che il Sry Sudah Ari, uno dei tre grandi Illuminati viventi dell'Oriente, e che a lui era riservato il privilegio di decidere chi onorare della sua presenza. Come tutti i Realizzati nella Luce, era ormai in continuo contatto con Dio, in una perpetua estasi, e, proprio l'essere un tutt'uno con il Dio Shiva, gli permetteva di conoscere il destino della gente. Affermò che era cosa grande aver avuto tale mistico incontro, perché pochi potevano vantarsene, oltre al dono della rivelazione.
Mi benedì con il loro rituale, e, cosa che mi fece immenso piacere, mi donò l'Apasthambha Sutra, incassato in una specie di scettro, che a loro serve per benedire e esorcizzare. Concluse il nostro colloquio assicurandomi che mi sarebbe stato di aiuto per gli altri e per me, e che mi era stato donato come suggello dell'incontro con il Guru. Ho avuto modo veramente di usarlo per scongiurare molti malefici.
Tornato in Italia, feci sviluppare le foto che avevo scattato. Mentre ne prendevo visione comodamente in casa, mi balzò all'occhio un primo piano di eccezionale bellezza, riproducente il Guru, che io non ricordavo affatto di aver fotografato; era forse un ultimo dono del Santo per confermarmi che non si era trattato di una visione, ma di una realtà.